Enrico Bignetti
ENRICO BIGNETTI
Il periodo del Calini: ricordi dolci e amari.
La mia infanzia è stata assolutamente invidiabile. È trascorsa felicemente in una famiglia borghese di Brescia. Il quartiere dove abitavo, ero immerso nel verde e tranquillo; erano i tempi nei quali si poteva ancora giocare a pallone per strada. Ricordo che una volta un povero disgraziato aveva scavalcato la recinzione e aveva tentato di rubare in casa per la fame; la sorpresa e naturalmente la paura furono tante ma poi la questione si risolse mandandolo via con qualche soldo in tasca. Quelle erano le rapine in villa. Le vacanze estive della famiglia si trascorrevano nella casa di campagna dei nonni materni. Era in un borgo antico di poche anime tra le colline moreniche del Garda; queste colline avevano i profili dolci anche se assolate e brulle (all’epoca non era ancora stato costruito il canale per l’irrigazione); su ognuna di loro spuntava un cipresso come in certe zone della Toscana. Vivevo per mesi in quella casa, in compagnia di quadri, stampe e mobili antichi, e il giardino che si perdeva tra pini e alberi da frutto, era popolato dai miei amici cani e gatti. Con la mia inseparabile bicicletta vagavo su e giù sulle viuzze fatte di acciottolati e tra ville maestose. Ovunque, si trovavano persone gentili amiche del nonno che mi chiamavano col suo cognome la qual cosa non mi disturbava; sapevo che quello era un gesto di riconoscenza verso il mio amato nonno. Al bar centrale, mi avevano insegnato a giocare al biliardo ma quello vero con i birilli, un grande sport di equilibrio e concentrazione. Insomma, vivevo un senso di libertà che percepivo dentro di me, per lo spazio dilatato e la semplicità che mi circondava. Era tutto mio; persino mio fratello più vecchio di 6 anni, pensava già a cose più adulte delle mie, e raramente incrociava la mia strada. In quel periodo dell’infanzia, passavo dalla casa alla scuola elementare, come se passassi da una famiglia ad un’altra. Ricordo perfettamente i miei maestri coi quali si cresceva giocando; più tardi, qualcuno mi spiegò che quel loro modo di interagire con noi si basava sul metodo pedagogico Montessori, un metodo ancora poco noto per quei tempi.
Ma le cose si fecero già più dure con l’arrivo delle scuole medie. Buona parte di quel periodo, io l’ho rimosso e ancora adesso non ricordo bene perché. Credo che il trauma principale dipendesse dal fatto che la vita quotidiana e la scuola non fossero più una cosa sola, non era più una crescita unica, fatta di giochi e di scoperte. Dal momento delle scuole medie in poi, il tempo della curiosità da dedicare alle passioni della mente non si conciliava col tempo dello studio. Il conflitto, ricordo, creava un rifiuto naturalmente per lo studio forzato, arido e senza gusto. Dalle medie, la pedagogia non faceva più sconti trasformando la scuola in un obbligo e non più un piacere, anzi gli sottraeva sempre più tempo (sicuramente, oggi le cose sono cambiate; il coinvolgimento dei ragazzi a scuola è totalizzante per le opportunità di apprendimento che hanno). Dalle medie al liceo scientifico Calini, la transizione divenne ancora più accentuata. Abitavo a pochi isolati dal Calini e ricordo che facevo di tutto per alzarmi la mattina al più tardi possibile, arrivando in classe con poca voglia e tanto sonno. La situazione degenerò finché non arrivò quel momento di crisi nel quale si interruppe la fase negativa. Fu l’anno nel quale venni bocciato. La vicenda ha un risvolto emblematico di come si viveva a quei tempi, tant’è che divenne un vero e proprio aneddoto da raccontare a mio figlio con l’intenzione di insegnargli qualcosa di utile. In breve, quell’anno, ero debole soprattutto in filosofia cosa che mia mamma finse di scoprire al colloquio col Professor Bambara, del quale tutti avrete sentito parlare per la severità in classe e il rigore nell’insegnamento). Tuttavia, mia mamma non fece nulla per coprire la mia scarsa volontà di studio, anzi, rincarò la dose e indagò anche sulla materia di storia che risultò altrettanto debole; allora prese in contropiede il Prof. Bambara, affermando lei stessa che non mi vedeva per niente maturo. Così, arrivò a concordare con lui che se mi avesse aggiunta anche storia tra le materie negative, sarebbero riusciti a farmi bocciare. Quelli erano tempi nei quali i genitori erano dalla parte dei professori. Naturalmente, in cuor mio non fui felice della soluzione; eppure, quell’estate la passai finalmente sollevato, soprattutto per non dovermi trascinare libri di studio per recuperare come al solito qualche materia a settembre. Più avanti nel tempo capii che mia mamma aveva ragione; compresi che i genitori sono genitori anche se sono contenti di farti ripetere un anno. Grazie a loro, veleggiai attraverso gli anni successivi del liceo senza troppa fatica; inoltre, riuscii a chiarirmi quale percorso universitario avrei poi scelto dopo. Ma ripetendo, la migliore opportunità fu quella di trovare nella nuova classe un amico col quale avrei passato alcuni anni piacevoli di studio e di vacanze assieme e del quale ancora adesso ho un caro ricordo. Finalmente giunse l’Università a Parma; nonostante inizialmente fossi in affitto in una stanzina in una famiglia, per me fu una sorta di catarsi. La vita è davvero quella che si passa come se ogni giorno fosse una nuova occasione. Grazie al Calini!